arte e biotecnologia

a cura di Lavinia Tognozzi VA

PERSONALE NOTA INTRODUTTIVA


Con questo breve booklet voglio approfondire una nuova modalità di utilizzo delle biotecnologie: il loro rapporto con l'arte.
L'arte è un veicolo per la comunicazione di messaggi, idee, ideologie che l'artista vuole esternare e trasmettere. Si tratta dunque di una materia a tutto campo, che arriva fino alla realizzazione della cosiddetta "BIOART", che mira a comunicare il progresso tecnico-scientifico, in particolare quello delle biotecnologie, per animare nel pubblico curiosità e sgomento: gli osservatori si trovano così a interrogarsi sulla possibilità di sconvolgere la biologia così come la conosciamo, nel modo in cui la natura l'ha pensata.
Così abbiamo da un lato l'arte, sinonimo di creatività e fantasia, e dall'altro la scienza, che nell'immaginario collettivo risulta fredda, empirica, razionale.
In realtà questo connubio arte-tecnologia adesso non appare poi così irrealistico e antitetico... scivolare da una disciplina all'altra rappresenta un filtro con il quale è possibile osservare i grandi stravolgimenti biotecnologici che riguardano molto da vicino anche la nostra esistenza.

LA BIOARTE E LE SUE SOTTOCATEGORIE



Si tratta di un'arte molto estesa che coinvolge svariate sottocategorie:
1. ARTE BIOTECNOLOGICA: coinvolge le biotecnologie nel più ampio significato del termine, include manipolazioni genetiche e non, di organismi ma anche tessuti.
2. ARTE TRANSGENICA: è quella Bioarte che coinvolge l'ingegneria genetica.
3.ARTE GENETICA: coinvolge il DNA nel più ampio significato del termine

IL CASO TUT


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IL DNA COME MEDIUM ARTISTICO


Joe Davis è un bioartista che per primo ha sfruttato la potenzialità espressiva del DNA, centrando la sua produzione artistica sul valore simbolico del codice genetico. La sua opera più famosa è Microvenus del 1986.

L’opera è stata creata per contestare l’estrema stilizzazione del corpo femminile rappresentato sulle famose placche poste sulle sonde Pioneer 10 e 11, create con l’intento di essere lette da forme di vita extraterrestre.


ALBA: LA CONIGLIETTA FLUORESCENTE




Secondo Eduardo Kac, scrittore di origine brasiliana e ideatore del neologismo “Bioarte”, il bioartista, al contrario del semplice artista, non crea solo un oggetto d’arte ma attraverso la manipolazione della materia organica rende esseri viventi di diversa complessità, essi stessi forme d’arte.

Alba fa parte del progetto “GFP Bunny” del 2000, nome esplicativo dato che la fluorescenza dell’animale è stata ottenuta grazie alla proteina GFP (Green Fluorescent Protein), ottenuta dalla medusa Aequorea victoria, tramite tecniche di laboratorio ormai comuni e routinarie. La fluorescenza “acquisita” dell’animale è visibile grazie all’uso della luce blu o di particolari filtri gialli.

Ad ogni modo, l’opera è stata fonte di ovvie contestazioni: quali sono i diritti degli animali transgenici? Sono stati rispettati per la realizzazione dell’opera? È giusto fare di un essere vivente un’opera senza poter avere il suo esplicito consenso? Inoltre, non bisogna dimenticare che il dibattito sulla creazione di animali transgenici e sui limiti dell’intervento dell’uomo sulla natura, è una questione delicata già in campo biomedico, che diventa particolarmente acceso se declinata per fini artistici.

L’intento di Kac, come lui stesso ha dichiarato, non si fermava alla sola creazione dell’animale fluorescente: il dibattito non si sarebbe dovuto incentrare esclusivamente sulla manipolazione genetica, ma la seconda fase dell’opera prevedeva che lo stesso Davis adottasse Alba, per mettere così in luce la problematica della vita sociale degli animali da laboratorio, destinati a vivere in cattività nello stabulario e chiaramente ad essere oggetto di sperimentazione.







Una delle conseguenze della nuova centralità delle scienze della vita nel panorama della cultura e dei media contemporanei è che si rende sempre più evidente la cancellazione di ogni confine tradizionale fra “arte” e “non arte”. Ciò deriva dal fatto che le pratiche di manipolazione del genoma dischiudono nuove prospettive nell’indistinta zona di confine fra esistenza e non esistenza della vita, e quindi sottraggono all’arte (tanto alle arti visive quanto alla letteratura) uno dei suoi terreni privilegiati di rappresentazione e di riflessione, quello della morte.

Se già la mediatizzazione dell’arte aveva contribuito, nella seconda metà del secolo XX, alla sua migrazione in ogni genere di ambito e mezzo (dalla tv alla pubblicità), e quindi alla dissoluzione di ogni tratto caratteristico che distinguesse l’arte da altre attività espressive, la biologizzazione dell’arte è in procinto di alimentare ulteriormente questo processo.